La rivoluzionaria Nadia Gallico Spano

A volte certi incontri sono casuali, partono da un motore di ricerca in internet e così inserendo parole comuni come "vestito", "parlamentare", "istituzioni" si fa conoscenza con donne dalla vita rivoluzionaria e coraggiosa come quella di Nadia Gallico Spano.

Nata in una famiglia d'emigrati in Tunisia, nel 1938 aderisce al Partito comunista con i fratelli Loris, Ruggero e Diana. Milita nella Resistenza durante l'occupazione tedesca della Francia, viene condannata per la sua attività politica dal regime collaborazionista di Petain.

Nel maggio del 1939 Nadia Gallico sposa Velio Spano, dirigente centrale del Partito Comunista Italiano. Si sottrae alla cattura e raggiunge l'Italia nel 1944 dopo le quattro giornate di Napoli, dove diviene una delle protagoniste del processo di rifondazione dello Stato e della nascita della Repubblica. E' una delle ventuno donne elette all'Assemblea costituente e, tra il 1948 e il 1958 è parlamentare comunista. Ha partecipato alla fondazione dell'Unione Donne Italiane e del settimanale Noi Donne, che ha diretto sino al 1945. Ha presieduto fino al 1958 l'Unione Donne Sarde.

Mi hanno colpito molto le sue parole sull'estensione alle donne del diritto di voto:

" quella conquista fondamentale era passata quasi in sordina", un riconoscimento più per i meriti conseguiti durante la guerra e la resistenza che di un diritto naturale, e inoltre "c'era poco tempo" per preparare le donne al voto, per conquistarne la fiducia attraverso una propaganda specifica, non potendo contare sulla rete capillare delle parrocchie come la Dc.

E' alla direzione del lavoro femminile della Federazione romana del Pci e poi alla Costituente. Ricorda di quel periodo che "fu un'esperienza bellissima: imparavamo insieme", sperimentando "il passaggio dalla lotta illegale (...) al clima entusiasmante della libertà", organizzando iniziative sui bisogni più sentiti dalla popolazione femminile, dalle mutue di caseggiato all'assistenza ai bambini e agli anziani, dal lavoro all'alimentazione e ai prezzi: "le donne chiedevano cose possibili" - nota, sottolineandone il senso di responsabilità e concretezza. La campagna elettorale consisteva nell'insegnare a votare, nell'inventare nuove forme di propaganda come i comizi volanti e quelli di caseggiato, andando nelle borgate, nei cortili a parlare alle donne affacciate alle finestre. Rammenta i limiti della propaganda elettorale del 1946: "Stranamente nei manifesti e nella propaganda le donne erano invitate a votare per qualcun altro. Io ricordo manifesti in cui si vedevano soldati aggrappati ai reticolati, prigionieri, che gridavano "Mamma! Vota per me!", oppure bambini in braccio alla madre: "Mamma vota per me!". Cioè la donna votava per gli altri. Non c'è stato un manifesto in cui si dicesse: "Donna vota per te!", in cui il contenuto fosse vota per te, per i tuoi diritti. C'è stato solo un richiamo delle donne a votare per gli altri. La funzione della donna venne vista come una funzione di sostegno ai diritti degli altri".

Del periodo vissuto da parlamentare, Nadia sottolinea anche la scarsità di mezzi di cui i deputati disponevano e i sacrifici che imponeva raggiungere Roma con una rete di trasporti ancora da ricostruire. La carta si riciclava, mancavano uffici e scrivanie, bisognava ingegnarsi per vestirsi decorosamente, non c'erano i "portaborse". "Il tenore di vita di tutti era modesto e i deputati non facevano eccezione, costretti a saltare qualche pasto o a farsi rivoltare un cappotto".


Credo, con molto rammarico, che le donne siano tornate indietro di molti decenni e sui diritti non ci sia più la voglia di essere unite e lottare.


Qui puoi trovare la sua opera:

Per approfondire un bellissimo articolo:


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