Post

Visualizzazione dei post da luglio, 2010

LETTERA DAL FRONTE

Sarajevo 06/05/98 h.11.15 e non per tutti Cara Viola, in questo momento mi trovo seduto sul mio letto e stranamente ho trovato un momento libero per scriverti una piccola lettera; hai visto che ti penso ogni tanto? Non so come te la passi, spero bene, io sono piuttosto impegnato in pattuglie e pronti interventi. La vita qui a Sarajevo è ripresa quasi del tutto, ma ogni tanto si sente qualche colpo di fucile e se non l’hai ancora capito, quando si sente sparare io corro a vedere cosa succede. “Spesso”, quelle poche volte che sono libero, penso a quanto sei pazza e alla voglia di divertirti. Quando tornerò, stai tranquilla che una delle tante sere a disposizione, “dovrò rimandare qualche appuntamento”, ti inviterò per discutere di come abbiamo passato questo periodo senza sentirci. Ti dirò che qui all’estero la solitudine ti porta un’eccitazione così grande che ti porta a lavorare in modo frenetico. Mille volte mi hai chiesto come sono, ma non ho ancora capito se fisicamente o di caratte

BREVI CRONACHE DI MORTI AMMAZZATI

La prima volta avevo dodici anni, era un tardo pomeriggio estivo nel 1985, passeggiavo sul Lungomare di Gallico Marina (RC) con i miei amichetti. La strada era affollata, d'improvviso la folla iniziò a correre e anche noi scappavamo mentre il mormorio diceva "hanno sparato a uno" oppure "hanno ammazzato a Giovanni". Quella corsa alla prima casa utile di qualcuno di noi sembrava infinita. Erano solo poche centinaia di metri e il fratello più piccolo di Mariagrazia piangeva "hanno ammazzato papà", perchè il loro papà si chiama Giovanni. E lei lo rassicurava "ma che dici, papà è a Villa, corri". Iniziò così un periodo, durato anni, in cui la strage sembrava non dovesse più finire. Il silenzio del giorno dopo era irreale, qualche bambino non compariva in spiaggia per un paio di giorni, anzi la spiaggia era proprio deserta. Tu stavi lì a leggere la cronaca della "Gazzetta del Sud", ti chiedevi dei perchè ma nessuno degli adulti intorno t

RAS AND ME

In Brasile. Lì, in quel Brasile d’Inferno mi avrebbe voluto portare per il nostro viaggio di nozze. Il mio compagno, Ras. Ho telefonato a Teresa e le ho chiesto: “Ma sei sicura che io l’ho davvero conosciuto Ras? Che sia passato dalla mia vita?” “Purtroppo sì” La sua risposta. Cruda come il ventre pieno di farfalle. Il mio ventre quando ascoltavo la sua voce, e quella canzone incisa con i Damnata ad metalla, il suo gruppo. Ras il suo nome d’arte. Sono sicura mi ha chiesto di sposarlo. Due volte. Avrebbe voluto che accadesse in quella piccola chiesa sotto la roccia, dove ascoltavamo la voce del maestrale, accucciati e abbracciati. La memoria di Ras Tafari Diredawa, il ricordo, l’amore in ginocchio, il mio dolore tutto insieme per cementare la voce del passato che mi sconvolge nelle notti solitarie. Non ti fidare, non ti fidare. Va e torna ma non ti ama. Mormoravano le consigliere per mestiere. Un sortilegio quei dodici anni insieme. Era tutto pronto: la Chiesa, gli invitati, il viaggio.

IL MARE ROSA - INTRO

Ti ho svegliato alle dieci. Treccia e caffè, una colazione veloce e un abbraccio che ci univa davanti al tuo album di famiglia. La foto di tuo padre che a fatica spegne 39 candeline sulla torta ci stava fissando. Se lo sentiva che sarebbe stata l'ultima, la sua vita stava per essere soffiata via, pochi mesi ancora. Esistevamo, noi sì ed era difficile capire quello che avevi appena fatto. non c'era una spiegazione per tutto quello che avevi nascosto a me e alla tua matrigna. Adesso eri davanti a noi e cercavi di fare finta di niente. Ho sospettato che Daniela sapesse, che fosse stato il suo egoismo a impedirti di sbagliare ancora. La segreteria cominciava a registrare un messaggio, dopo che il telefono aveva squillato invano. Era il quindici dicembre e mancavano dieci giorni a Natale.

POTREI ESSERE OVUNQUE

Sono qui, cammino sprofondando nel caldo. Sono qui, potrei essere ovunque. Mi sveglio nella notte, mi sembra di essere appena rientrata dopo un lungo viaggio. L'ultima città visitata potrebbe essere stata New York. Sono dentro un piccolo negozio di bigiotteria cinese, mancano poche ore alla partenza. Ripercorro tutta la sesta prima di rientrare in albergo. Odioso Carter, viaggio da incubo. Mordo l'ultima ciambella, mi siedo al solito tavolo di Starbucks e aspetto.