I fiori sulla strada e il pianto della tua mamma



Due cose non dimenticherò mai: i fiori lasciati sulla strada al passaggio del tuo feretro e il pianto di tua mamma.

Seduti sulla balaustra di pietra della Via Marina, di fronte alla pizzeria, come ogni pomeriggio d'estate, io e Antonio ci scambiavamo tenerezze. Ci piace quel punto, che domina lo Stretto, ancora di più al tramonto, quando i colori si mischiano e le sfumature si modificano con tonalità rossastre, più chiare e più forti, riflettendosi sul mare.

"Abbassati, su dietro la macchina, ora sparano". Antonio urlando mi aveva tirato giù, in sequenza udimmo gli spari.

In pochi attimi si scateno' l'inferno, ormai un rituale scontato, per noi della città dei trecento morti ammazzati l'anno: le sirene accese, l'autoambulanza, la constatazione del tuo decesso.

Eri il proprietario del locale, ogni lunedì sera prendevamo la pizza e scherzavamo con te. Eri un cuore puro, c'entravi o non c'entravi con la guerra di mafia? Perchè?

Quando vivo mentalmente quella sera non riesco a dare una spiegazione.

Non c'è. Non c'è per te come per altri, nomi e cognomi, papà, fratelli, adolescenti caduti sotto i colpi di una guerra che ha reso simile la nostra città alla Beirut bombardata in quel periodo.

E poi c'eri tu un gigante buono, che passavi le serate raccontandoci la provenienza della mozzarella, o ci facevi assaggiare il pane caldo cotto nel forno della pizza.

Non avevo notato la tua macchina quel pomeriggio, Antonio aveva visto la moto arrivare con l'uomo col casco addosso. Un casco? un copione già visto, il killer che arriva con la moto e il casco, un binomio insolito senza ancora l'obbligo del suo utilizzo.

Il tuo assassino si è avvicinato a te mentre aprivi lo sportello.

Ti ha ucciso, il tuo corpo inanime è caduto tra lo sportello e la porta del locale.

Ho iniziato a piangere in quei secondi lunghissimi, Antonio ha gridato il tuo nome, mentre, stringendomi forte mi portava via da lì.

Di notte, nel silenzio, irreale d'estate, che seguiva un morto ammazzato, il vento portava alla mia finestra il pianto singhiozzante di una donna che abitava nella casa bassa, all'inizio del vicolo accanto al cancello del nostro cortile. Non so dirti per quante notti di seguito, ma le ho potute udire fino a quando il freddo non è arrivato e con lui le finestre sono state chiuse.

Il pianto di tua mamma, le sue urla iniziate con la notizia di quel figlio perso per sempre e lo strazio del tuo funerale.

Lei che seguiva la tua bara e non riusciva a staccare la mano dal vetro della macchina con la tua cassa e dietro di voi, fiori bianchi.

Un manto di fiori bianchi, lungo la breve strada dalla tua casa alla Chiesa, passando davanti alla Pizzeria sulla Via Marina.

Lacrime e fiori bianchi per il tuo addio.

Io e Antonio siamo tornati a trovarti. Sono passati venti anni.

La casa di tua mamma ha tutte le finestre chiuse, non è abitata, ma nessuno ha tolto dal terrazzino la rosa bianca davanti alla tua foto, ormai sbiadite, sul tavolo, accanto alla sedia dove lei stava seduta.

La pizzeria è chiusa, pronta per essere abbattuta. Un passante ci ha detto che costruiranno villette a schiera al suo posto. Cancelleranno un pezzo della mia storia.

Il muretto dove eravamo seduti è ormai diroccato.

Il profumo e i colori del tramonto sono gli stessi di allora.

Antonio mi abbraccia, andiamo in riva e ricordando gli anni passati, non ci chiediamo più: "Perchè?"

@ Viola Bonifacio

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