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Visualizzazione dei post da gennaio, 2010

DALLA PARTE DI ANDREAS

Dalla parte di Andreàs. Non so da dove sia iniziato il lento deterioramento della mia vita da adolescente a uomo. So da dove è iniziata la presa di coscienza: la vita era mia e avevo capito che quel ragazzo che amava vivere il mare era ancora dentro di me ed era la purezza e l'ingenuità che avevano evitato che io mi distruggessi. Si fumavo l'erba, niente di più. Non spacciavo, eseguivo degli ordini: 1300 km a salire e 1300 km a scendere una volta alla settimana. Prendevo e scaricavo la merce. Incassavo i soldi e tolta la parte necessaria per vivere, il resto andava alla mia famiglia. Che vita! Comoda, secondo qualcuno invidioso. La solitudine, il preoccuparsi di non avere un recapito telefonico fisso, la paura dei posti di blocco, avventure veloci…Comoda e senza via d'uscita. Ero avvilito quel Natale. Stavo seduto a leggere alcune pagine della Ricerca, di tanto in tanto dalle pagine veniva fuori una foto: io ragazzo con i capelli ricci, raccolti a codino, schiariti dal sol

ANDREAS

Andreàs è seduto sugli scalini della casetta dei pescatori, i piedi nudi sulla sabbia, aspetta che lo zio torni dalla pesca. Vuole fargli una sorpresa, è appena arrivato da Milano ed è corso lì, nel suo angolo preferito, nascosto tra gli aranceti. Il suo rione lo soffoca, preferisce stare in riva al mare a guardare lo stretto, ha la stessa frenesia delle domeniche mattina quando suo padre lo svegliava presto per andare a tirare le reti. Per lui, bambino cresciuto in quel posto malfamato, povero e ricco solo di criminalità e morti ammazzati, l’unico svago, oltre il basket e la scuola, era il mare. La casetta dei pescatori era ancora una baracca di legno quel giorno di marzo del 1990, quando suo fratello era corso a dargli la notizia della morte del suo compagno di banco. Ucciso per errore, errore di essere accanto al padre durante un regolamento di conti. Lo odiava quel quartiere, lo odiava per il fatto di essere il primo di tre fratelli e di essere stato il più scortato a casa e

STANOTTE LA LUNA NEL CIELO - LUI

Plenilunio Le stelle intorno alla bella luna subito nascondono il volto luminoso essendosi riempita massimamente risplende su tutta la terra Saffo Piove. Non penso niente. Non vorrei neanche uscire. Sabato sera. Uguale. Diverso. Un sabato sera. L’ultima sera dell’anno. Potrei stare qui o ovunque. In qualsiasi altro posto. Sto assorto nel mio silenzio. Guardo fuori dalla finestra, conto le luci accese sul mare. MI perdo nell’universo dei miei pensieri. Mi alzo e vado verso lo specchio, lì c’è un uomo che mi guarda. Non lo conosco, non so chi sia. Dall’apparenza, dal suo aspetto e’ un giovane uomo. Non sono io. Non sono giovane. La mia giovinezza è già vecchiaia. Torno alla finestra, riconosco quei luoghi, sono quelli della mia nascita. La mia città è quella della mia residenza. Nascere nella mia città. Nascere è cancellare ogni speranza amniotica di salvezza, mi sussurro. Nascere è appartenenza. Io sono libero. Libero dentro il mio liquido amniotico che avvolge la mia giova

STANOTTE LA LUNA NEL CIELO - LEI

Stanotte la luna del cielo Tramontata è la luna, con le Pleiadi, a mezzo è la notte e il tempo passa e io giaccio sola. Fr.94 Saffo Chissà cosa sogni. Ho voglia di baciarti. Che fai? Dormi? Non devi andare via. Ti ho scelto. Non importa quello che pensi. Ho deciso io. Voglio stringerti, ho paura di perderti, ho bisogno di sapere che ci sei. Ti prego rimani. Parla. Ho voglia di sentire la tua voce perché fa vibrare i nostri corpi. Non posso permettere che tu vada via, anche se non vuoi, anche se non mi vuoi, se non vuoi che io ti segua. Devo convincerti, devi rimanere. Se io non posso stare con te, tu vivrai felice senza di me, lo so, io vivrò, infelice, rubando attimi alla tua vita, di nascosto, immaginando i tuoi respiri. Perderò, perderò me. Adesso voglio ascoltarti. Ricordi quella città fredda e lontana? Ricordi il nostro primo sguardo? “Cos’è? Ti ho svegliato?” ”Che ore sono?” “E’ presto, se vuoi dormi ancora un po’.” “E tu?” “Sono ben sveglia ormai. Vado a preparare il caffè.” Ho

CITTA' DANNATA

Una città dannata, ecco cos’è questo posto. Te ne accorgi appena scendi dall’aereo, ancora prima quando devi atterrare e ti sembra di finire in mare o addosso alla montagna! E le case? Ancora da costruire. Condonate e senza soldi per terminare la facciata. Ti fa rabbia, quel mare che lento ti specchia sull’altra sponda. Lo stretto, le luci, un attimo soltanto e capisci che non potrai vivere senza voltare lo sguardo a quello scintillio. La città è tutta lì, credi, in quel chilometro di lungomare con le sue case in stile arabo e i suoi alberi secolari. Una città senza spina dorsale, senza anima, senza abitanti ma spettri. Spettri come il ricordo dell’antichità. Quegli scavi che si fa presto a sotterrare per potere costruire. Ignoranza che sono venuta a cercare. Ho creduto che potessero bastare queste motivazioni, ho cercato la scusa di una borsa di studio per ritrovare la scoperta e ho vissuto l’ansia della diversità. Non mi appartiene questo girovagare, la certezza è dentro, nascosta d

CORDE DA RAMI

Hai camminato a lungo, la notte ti attraeva, la luna piena illuminava il tuo mare. Hai pensato alla vita, ti sei perso dietro le solite riflessioni, ti sei fermato smettendo di pensare, svuotandoti da ogni pensiero. Avresti voluto essere felice, felice? No, hai preferito camminare, camminando fino all'alba, andando verso il polo Sud e ritorno. Ti sei guardato intorno, ti sei guardato dentro, hai scoperto la solitudine, hai scoperto di non avere mai vissuto veramente nel tuo modo di essere alternativo e giusto. Cosa voleva dire giusto, oltre quel tuo innato senso di giustizia, cos'era questa maledetta voglia di partire, di lasciare il mare. Il tuo mare. Giorgio e l'amore eterno, Giorgio troppo bambino, Giorgio l'intellettuale, Giorgio che insegna stancamente, senza crederci più. Giorgio e la politica. Un sorriso spento con un'espressione triste non voluta. Giorgio con il suo sogno: un'altra vita. L'altra vita, quella inventata, con i suoi personaggi inventant

DI SERA

Di sera Torciglioni di capelli, candele affusolate, notte illuminata senza cielo e senza stelle. E’ nella stanza, l’uomo. E’ nella stanza, la donna. E’ disteso sul letto, l’uomo. Intensità di vento, azzurro, azzurro come il mare. Anime fragili si confondono mentre l’equilibrio, scivola lento sul muschio speziato dal profumo e dal torpore. L’atmosfera invade le membra e le ombre si muovono dietro le tende, mosse sulle piante. L’uomo si alza, bacia la donna. Il cappello è sui suoi occhi, a nascondere lo sguardo. L’ultima battuta sulla scena della sera. L’uomo scivola via, oltre la porta. La risata si ode fino in fondo al cortile. I passi sono lontani.

PER GAIA

La città si stende sul lungomare con i suoi alberi secolari e si affaccia sulla costa dirimpettaia con il formicolare della gente ad ogni ora. Sono tornato a casa, lo sento dal profumo del mare che sale dalla finestra sullo stretto. Sono nella mia stanza, finalmente, quella di quando ero un ragazzo liceale. Ho guardato dentro il mio armadio, mi sono seduto alla scrivania, ho aperto il cassetto e tra le cose accatastate è apparsa una foto che ritrae il mio compagno di banco, il suo volto è rimasto giovane, per sempre. Avevo appreso la notizia dalla radio, quel giorno stavo pranzando in un bar con una granita al caffè, panna e brioche. Il suo presagio si era avverato così come me l’aveva confidato: “Gesù Cristo è vissuto trentatré anni, io non ci arriverò.” Sono andato a casa sua, o meglio dei suoi genitori, la porta era aperta, io sono rimasto nell’ingresso. Come ogni giorno da quasi dieci anni Uccio si recava al lavoro con il papà, percorreva quel tratto della Salerno - Reggio Calabria

INCONTRANDO L'ICEBERG

Voglio passeggiare sul lungomare con il vento fra i capelli e il profumo della brezza sul volto. Voglio camminare accanto a Cheeb, l’iceberg, per ascoltare il racconto dei suoi casini sentimentali e del suo equilibrio instabile. Quando studiavo insieme a sua sorella non era mai in casa, intuivo la sua vita e i suoi gusti dagli oggetti sparsi nella camera. La prima immagine che ho di Cheeb è quella della raccolta di fumetti, sempre più voluminosa man mano che passavano le settimane. Quando l’ho rivisto a Milano, dopo qualche anno, gli ho ricordato chi era Cheeb per me: un ragazzino partito con pochi soldi e una chitarra per una vacanza a Londra, un ragazzo molto bello incontrato spesso nelle sere d’estate sul lungomare cittadino, un uomo che pranza da solo in un fast-food nel dicembre 1997, un signore distinto che lavora nel suo studio nel marzo 1998. Ha provato una sensazione di stupore davanti ai brandelli di vita che gli stavo regalando. Per la prima volta si è visto dall'esterno

INDIETRO NEL TEMPO

Indietro nel tempo e nei luoghi, inseguo gesti del passato e i loro uomini che con sapere innocente hanno cambiato le vite di molti” Questo pensavo durante il viaggio provando invidia per la fierezza dei sentimenti e rabbia per le menzogne che hanno edificato la mia famiglia. Volevo conoscere la verità. Solo così, adesso che sono morti, potrò dargli pace riconoscendo e perdonando perché ogni azione è stata causata da un valido motivo: l’amore. “sono come tu mi vuoi”. (solo un profumo degli anni trenta) L’amore crea scompensi che mai si riequilibreranno, durano per tutta la vita solo rimanendo distanti e si ricompongono con la morte. Per capire queste cose ti sono venuta a cercare fino in fondo al viale alberato di palme, lì dietro la cattedrale. Eri alto e severo, con il vestito bello e la cravatta. Ti fermavi davanti alle scale di domenica mattina, lì c’erano i fotografi. Sorridevi quando il volto di chi ritraeva si nascondeva dietro il telo nero. Sfilavi lento gli occhiali scuri dal