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CARO FRANZ

Sono a casa da solo, sono sdraiato sul mio letto e penso al mondo e ai suoi uomini che vanno e vengono. Vorrei andare, seguire uno di loro a caso, senza chiedergli nulla, solo accostandomi a lui e camminando sui suoi passi. Così senza meta me ne andrei, vorrei scoprire i volti di tutte le anime vaganti, e leggere dentro i loro occhi. Mi alzo per andare alla finestra, guardo in fondo al mare fin dove l’orizzonte svanisce e io non potrei più vedere. In alto le stelle illuminano la strada di chi cerca il buio, in una notte interminabile, una risposta consolatoria al viaggio. Non resisto oltre, torno a sdraiarmi per immaginare di essere in grado di fermare il mio respiro, lo controllo, non sento più, non vedo più. Sono morto. Serro i miei occhi più forte che posso. Silenzio. Buio senza stelle. Flebile riprende, è l’istinto, sopravvivo. Ci sono, sono qui nel mio letto. Mi alzo, attraverso la mia casa, percorro tutto il corridoio . Indosso il mio cappotto, il mio cappello e prendo la valigia

IL VIAGGIO

L’odore, impercettibile all’uomo, invadeva la stanza, era l’inizio di un lungo viaggio, la continuazione di un vecchio cammino. Era d’aprile, di notte, una notte di Resurrezione. Non c’eri o c’eri? Ho ascoltato tante volte il tuo racconto, seduta accanto al letto, accovacciata sulla poltroncina di velluto verde. Le parole ti illuminavano il volto, ricordavi e piano mi facevi mille raccomandazioni. Eri una studentessa dell’Istituto magistrale, indossavi la divisa da Giovane Italiana, andavi ogni pomeriggio a doposcuola: impaziente di uscire, ti preparavi con cura, ti sistemavi il cappello sui riccioli biondi, passando due o tre volte davanti allo specchio appoggiato all’armadio. Ti piaceva farti ammirare dalle persone che incontravi per strada e dai tuoi compagni. Uno di questi aveva nascosto fra i tuoi libri un biglietto d’amore, sei arrossita quando ti ha chiesto una risposta. “L’avrò perso”, gli hai detto, “ieri mi sono caduti i libri, non ho trovato nessun messaggio, sarà volato via

A tratti la vita

Una donna nella sua cucina prepara la cena. I cuoi sono gesti consueti ed eleganti. Un uomo entra in casa e pochi attimi dopo la raggiunge in cucina. Un cane scodinzola intorno ai due. U “Scusa, ti disturbo adesso?” D“Sì, come sempre. Non ho tempo da qui all’eternità. Per caso mi stai vedendo? No, è solo ombra, parvenza, pensiero.” U“Secondo me dovresti prestare attenzione alle cose che fai. Sei distratta. Ti sta cadendo il latte dal contenitore. Pensavo che potremmo andare in montagna questo fine settimana. Dormire in baita.” D“Non mi ascolti. Non ti ascolto.” (Pulisce raccogliendo con una spugna il latte versato). “Finiscilo tu questo purè. Purè, brodino, passatine di verdure… Vado a mangiare. Vado a mangiare un piatto di lasagne. Stasera parto. Torno lunedì. Addio” (esce). U“Dove vai adesso? E la baita? Domenica se è bello ti porterò sul lago.” (solo voce) “Mi porto via il cane” (rumore di armadi che si aprono e si chiudono). (La donna passa con il cane a guinzaglio) D“Lo porti fuor

una lettera

Un racconto per te. Non te l’aspettavi? Avevo piacere che tu lo leggessi per primo e che avessi l’esclusiva (per ora). Alcuni passaggi li conosci già (sigh). Così era una cosa che mi prendeva e ho voluto mettere a posto il diario... Come è venuto? Non lo so. Quando metti nero su bianco sembra tutto più chiaro. Un attimo dopo non lo sembra più. Lo so, è troppo lungo, fa caldo e non viene voglia di leggere. In ogni caso è tuo. Ho cercato di essere obiettiva e ho voluto cambiare prospettiva. Ti ho telefonato proprio perché rileggendo i toni un po’ aspri e iniqui delle nostre ultime e-mail, mi sembrava giusto smorzarli. Mi piacerebbe sapere come stai, mi piacerebbe darti il pacchetto e ascoltare il CD che avresti voluto regalarmi. Forse un’amica non sarò, però è stato bello averti incontrato, è stato bello trascorrere tanti momenti unici insieme e volevo che questo emergesse dalle parole di “Nessuna Certezza”. L’amore può anche finire ma il “bene velle” (il volere bene) non passa mai. Io