PER GAIA

La città si stende sul lungomare con i suoi alberi secolari e si affaccia sulla costa dirimpettaia con il formicolare della gente ad ogni ora. Sono tornato a casa, lo sento dal profumo del mare che sale dalla finestra sullo stretto. Sono nella mia stanza, finalmente, quella di quando ero un ragazzo liceale. Ho guardato dentro il mio armadio, mi sono seduto alla scrivania, ho aperto il cassetto e tra le cose accatastate è apparsa una foto che ritrae il mio compagno di banco, il suo volto è rimasto giovane, per sempre. Avevo appreso la notizia dalla radio, quel giorno stavo pranzando in un bar con una granita al caffè, panna e brioche. Il suo presagio si era avverato così come me l’aveva confidato: “Gesù Cristo è vissuto trentatré anni, io non ci arriverò.” Sono andato a casa sua, o meglio dei suoi genitori, la porta era aperta, io sono rimasto nell’ingresso. Come ogni giorno da quasi dieci anni Uccio si recava al lavoro con il papà, percorreva quel tratto della Salerno - Reggio Calabria che conosceva in tutti i suoi millimetri. Era martedì, un caldo e soleggiato martedì di maggio. Alle nove meno cinque la macchina è entrata dentro la galleria Santa Lucia, il sole abbagliava fuori, c’era buio dentro, la velocità era elevata, dopo la frenata, l’urto era stato inevitabile. Un doppio scontro, la macchina era rimasta incastrata tra due camion, le due vite erano finite. Non si sa se c’è stato il tempo per un ultimo pensiero, sebbene il referto della stradale dica “morti sul colpo” non c’è stata la perizia del medico legale, solo una frettolosa rimozione dei cadaveri ordinata da un tal giudice che era in ritardo per l’udienza in tribunale. Impossibile quindi scoprire se c’è stato quell’ultimo pensiero, ma se ci fosse stato a chi sarebbe andato? Alla sua compagna. Forse. Alla figlia. Forse. Alla mamma. Forse. Ascoltava Buona Domenica di Venditti, il suo cantautore preferito, ad un tratto la cassetta salta, come se avesse potuto registrare la botta, in qualche oscuro modo. Una vita, due vite, tre famiglie. Più nulla. Il buio nella galleria, il buio nelle case. La voce del carabiniere per telefono aveva avvertito la madre “Signora c’è stato un incidente, suo figlio, suo marito…Non c’è nessun altro in casa? Signora sono morti.” Le visite di lutto si avvicendavano nella grande casa, le tre famiglie ricevevano i propri amici e parenti. La porta di casa era aperta, qualcuno piangeva con me, nell’ingresso. Nel salone c’era la mamma con le sorelle. Nel salottino c’era Luisa, la sua compagna con i loro amici. Nello studio la prima moglie con i suoi parenti. Il primo imbarazzo si era creato per i manifesti, qualcuno aveva risposto al telefono ed il signore delle pompe funebri aveva chiesto: “Senta qui nel manifesto del padre c’è la nuora, in quello del figlio non c’è nessuna moglie e ci sono solo due sorelle…” Chi è dall’altra parte del telefono a casa risponde frettolosamente: “Tolga la nuora, le pare questo il momento per fare delle questioni su chi annuncia la morte?” Come annunciare la morte era stato un problema non di poco conto, tutti sapevano che c’era nella sua vita un matrimonio finito, non legalmente ancora, e che viveva con Luisa, a sua volta separata. Luisa non c’era sui manifesti, ai piedi della bara c’era un cuscino di fiori. Su stava scritto: “Tua Luisa”. Mentre l’organo suonava il requiem mi apparivano, in pochi attimi, i ricordi sbiaditi, le fotografie scadute nella memoria: un campo colmo di margherite, tre bambini, tanti adulti in festa, una gita in moto a fine maggio, un fine settimana in Sila, un viaggio a Montecarlo per il Gran Premio. Noi amici eravamo in Chiesa, non sapevamo chi consolare. Io ero stato il suo migliore amico ed anche il compagno di banco, suo e di Katia, la sua prima moglie, padrino di Gaia, loro figlia. Ero amico anche di Luisa e sentivo un affetto filiale per la madre. C’era Elia, la sua prima ragazza, seduta negli ultimi banchi. L’avrebbe dovuta sposare, era pazza di Uccio. Quando partiva per le gare, Elia andava a casa sua, riordinava la stanza e lavava i suoi vestiti. Io la guardavo smarrito, non capivo che quello era un modo per stargli vicino. Quando l’ha lasciata per Katia io gli ho domandato perché. Secondo lui Katia era più interessante. Che vuol dire interessante? Non l’ho capito! A volte credevo che fosse uno sconosciuto nonostante dividessimo le passioni per le macchine, per i cani e anche per le donne. Trent’anni i suoi, tutta una vita densa di avvenimenti. Quando Katia è rimasta incinta non siamo andati a scuola ma a ritirare le analisi per avere la conferma. Erano irresponsabilmente felici, si volevano sposare. Io sarei diventato zio Francesco. Katia ha strappato ogni foto, pure quelle del matrimonio. Il ricordo più nitido che ho di loro due è quello di un incontro sulle scale del portone della mamma di Uccio. Non si sono guardati e non si sono salutati. Ho preso in braccio Gaia, in quel preciso momento ho deciso che mai nella mia vita sarei stato senza salutare qualcuno. Si stavano allontanando per i problemi caratteriali, per la mancata stima reciproca, per le scelte diverse. Avevano fatto una figlia, per caso, lo so, ma insieme avevano deciso di non interrompere la gravidanza. Eh allora? Non ci sono mai state troppe parole fra di loro sebbene fossero stati compagni di scuola, compagni di classe, compagni di banco al Liceo Scientifico Leonardo da Vinci. Dopo la separazione mi hanno raccontato le cose peggiori l’uno dell’altro. Appena sposati abitavano dai genitori di Uccio. Non c’erano troppi soldi per una casa per conto loro, dai problemi economici nascevano tutte le incomprensioni. Uccio era il figlio maschio viziato, voleva la moto nuova, la mamma gliela regalava, voleva cambiare macchina, il padre lo appoggiava. Katia non parlava e non voleva avere rapporti con lui. Quando arrivò una casa per loro tre, la mamma in segno di scaramanzia mise il sale in ogni angolo della casa, ma il matrimonio non esisteva più. Poco tempo dopo si separarono, Uccio aveva una relazione con la cognata e Gaia fu affidata alla moglie. Katia non aveva voluto sentire ragioni, aveva ottenuto la sua libertà ed una indipendenza economica da trovare. Uccio se ne era andato via portandosi dietro i soldi. E’ iniziato così il pellegrinaggio di Gaia tra il papà, la mamma, le nonne. La bambina viaggiava insieme ai suoi pacchi. Quando era colta da isteria prendeva il pacchetto più leggero sventolandolo in aria, per come poteva una bambina di sei anni, urlando che non voleva uscire. La prima battaglia per gli alimenti l’aveva visto vincitore. Era disoccupato, non aveva nulla, non poteva mantenerle. Sua mamma, di nascosto, dava i soldi per l’affitto a Katia e provvedeva a tutte le spese della bambina, che trascorreva la maggior parte del tempo con la nonna e le zie. Io ero lo zio Ciccio, giocavo con Gaia quando ero insieme agli altri amici a cena dalla mamma di Uccio, d’estate la portavo al mare, per me, che sapevo già che non avrei potuto avere figli, era una gioia ogni attimo trascorso con lei. Mi faceva rabbia quando litigavano per l’assegno mensile, Uccio, che era un libero professionista, asseriva di essere povero. Katia diventava cattiva, non faceva più andare nei fine settimana la bambina dal papà. Provavo pena per loro due, una profonda tristezza per una bambina che, malgrado non lo volesse, cresceva nell’odio. Ha conosciuto Luisa in quel periodo, un anno più giovane, non ancora separata, due bimbi piccoli. Suo marito dormiva ancora in casa con lei, ma in un’altra stanza, su una brandina. C’è stata tensione a causa di questa situazione. Uccio andò a vivere con Luisa perché aveva bisogno di una famiglia sua. Uscivano raramente in cinque, vivevano una situazione da famiglia allargata, non come quelle antiche. La complessità di una vita da famiglia quotidiana e famiglia domenicale rendeva insicuri i tre bambini. Ogni tanto sentivo che Uccio diceva alla bambina “A chi vuoi più bene alla mamma o al papà?”. Mi chiedo ancora come si possa fare una domanda del genere, Gaia rispondeva “Alla nonna”. Io lo guardavo con un’aria di rimprovero. In quel periodo iniziavamo a non essere inseparabili. La gestione di due famiglie era diventata drammatica. La domenica il pranzo era un campo di guerra. I tre bambini litigavano, la mamma di Uccio si spazientiva con Luisa e i suoi figli. Quando era arrabbiata sputava sulla foto della nuova nuora, se la scoprivano, con aria indifferente, diceva che era stato il cane a leccarla. Gaia si chiudeva nello stanzino e si rifiutava di parlare con tutti. Mi sembra di vederla con quel faccino rivolto all’angolo del muro. Katia la obbligava a non parlare con Luisa, per un anno la bambina non vide il padre. Alla fine dell’anno scolastico la suora, perché la piccola frequentava scuole cattoliche, convocò i due genitori. Mi ricordo l’emozione di Uccio davanti alla pagella della figlia. Era sincero. Mi raccontava che capiva di avere cresciuto i figli di un altro e di non essersi reso conto che di figlia ne aveva una sua, per lui sconosciuta. Gaia adorava il padre, era orgogliosa di lui, le brillavano gli occhi in quei pochi minuti trascorsi insieme mentre l’accompagnava a scuola. Adesso Katia concedeva che la bambina pranzasse da Luisa la domenica. L’ultimo traguardo erano state le ferie estive da trascorrere con il papà. I figli di Luisa per Gaia erano quasi fratelli, provava situazioni affettive diverse da quelle vissute in un mondo di adulti. Davanti alla sicurezza economica di Katia, all’accordo sugli alimenti, alle decisioni sulla scuola pensavo che erano cresciuti, tutti e tre: Uccio, Katia e Gaia. Sua mamma era convinta che il figlio sarebbe tornato a casa presto. Il rapporto con Luisa si era sfaldato, il disaccordo appariva su tutto. Luisa voleva laurearsi, aveva lasciato che l’affidamento dei figli andasse all’ex marito. Uccio provava nostalgia dei bambini, aveva bisogno di tornare a casa, trovarla in ordine e con la cena sul tavolo. Aveva voglia di recuperare il rapporto con Gaia. La bambina, che stava per iniziare le scuole medie, lo seguiva nelle gare e lucidava le sue coppe con lo stesso amore con cui Elia lavava i suoi pantaloni. Non c’è stato tempo. Non lo saprà più nessuno a chi è andato il suo ultimo pensiero. Io voglio immaginarlo abbracciato a Gaia, in un ultimo sospiro. Gaia, l’ho incontrata sul lungomare. È una donna, non mi ha riconosciuto, io sì, ha lo stesso sguardo del padre. Ho una cosa da darle, un filmino che ho fatto riversare su una videocassetta. Ha due attori poco conosciuti: io e suo papà da giovani. E’ così che Gaia dovrà ricordare Uccio. Ho già preparato l’adesivo da mettere sulla cassetta: “Per Gaia”.

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