CITTA' DANNATA

Una città dannata, ecco cos’è questo posto. Te ne accorgi appena scendi dall’aereo, ancora prima quando devi atterrare e ti sembra di finire in mare o addosso alla montagna! E le case? Ancora da costruire. Condonate e senza soldi per terminare la facciata. Ti fa rabbia, quel mare che lento ti specchia sull’altra sponda. Lo stretto, le luci, un attimo soltanto e capisci che non potrai vivere senza voltare lo sguardo a quello scintillio. La città è tutta lì, credi, in quel chilometro di lungomare con le sue case in stile arabo e i suoi alberi secolari. Una città senza spina dorsale, senza anima, senza abitanti ma spettri. Spettri come il ricordo dell’antichità. Quegli scavi che si fa presto a sotterrare per potere costruire. Ignoranza che sono venuta a cercare. Ho creduto che potessero bastare queste motivazioni, ho cercato la scusa di una borsa di studio per ritrovare la scoperta e ho vissuto l’ansia della diversità. Non mi appartiene questo girovagare, la certezza è dentro, nascosta dagli occhiali scuri. Fiore non c’è. La vivo da poche ore e sento di odiarla questa città, come posso tornare indietro. Voglio prendere un aereo e atterrare su Linate. Dimenticare di essere atterrata su questo mare e su queste case ancora in costruzione. La fine. Voglio trovarla la fine.
Ci sono molte volte che sto in casa, nella mia stanza e penso al mondo e agli uomini, gli uomini che vanno e si perdono. Sto lì, e guardo le stelle nel cielo e il mare, fino a dove lo sguardo può arrivare o non può arrivare. Molte volte sto da solo e vorrei andare senza sapere dove, mi piacerebbe tanto sapere di essere morto, vagando nel nulla, scoprendo di esserci ancora, avendo gli occhi serrati, senza parlare e senza pensare, solo scoprendo.
Immagino il cielo azzurro, le nuvole bianche, le stagioni della mia vita passano davanti a te, il mio volto sorride.
Mi alzo e guardo lo specchio, c'è un uomo, non sono io. E' un giovane uomo di trentadue anni, non sei tu. Tu non ti senti così giovane, non ti senti per niente.
Esci, perché devi andare, vai lungo la strada, senza una meta. Lo sai, Giorgio, te lo hanno insegnato in teatro, per spostarsi da un punto ad un altro del palcoscenico devi avere una meta da raggiungere, il pubblico lo deve capire. Non lo sai, non la vuoi avere una meta.
Guardi il fiume che passa, ricordi la filosofia con le sue false verità e bugie vere.
Vai in quella casa della tua immaginazione, vai per cercare qualcosa che è in te, non sapendolo.
Cogli sfuggente un volto sorridente che ti saluta, senti delle parole ma non vuoi capirle.
Sorridi, sorridi, ti dice. "Io sto nel tuo specchio e ti guardo".

"Giorgio."
Ti ho incontrato di sera in discoteca, abbronzato e distante. Sei andato via all'una, senza salutarmi. Sei uscito dalla grande porta a specchio, mi hai lasciata con il tuo sguardo deluso, sei andato verso il mare. Un'altra sera buttata, al di là di ogni comprensione, non servivano le parole. Già, le parole, ne erano state dette troppe. Hai camminato a lungo, la notte ti attraeva, la luna piena illuminava il tuo mare. Hai pensato alla vita, ti sei perso dietro le solite riflessioni, ti sei fermato smettendo di pensare, svuotandoti da ogni pensiero. Avresti voluto essere felice, felice? No, hai preferito camminare, camminando fino all'alba, andando verso il polo Sud e ritorno. Giorgio guardava il mare come ogni mattina, cercando di scrutare le risposte che non trovava dentro… cercando le parole, adesso che sentiva la necessità di raccontarsi, ma erano lontane come se volessero sfuggire la realtà.
Ti sei guardato intorno, ti sei guardato dentro, hai scoperto la solitudine, hai scoperto di non avere mai vissuto veramente nel tuo modo di essere alternativo e giusto. Cosa voleva dire giusto, oltre quel tuo innato senso di giustizia, cos'era questa maledetta voglia di partire, di lasciare il mare.
Il tuo mare.
Giorgio e l'amore eterno, Giorgio troppo bambino, Giorgio l'intellettuale, Giorgio che insegna stancamente, senza crederci più. Giorgio e la politica. Un sorriso spento con un'espressione triste non voluta.
Giorgio con il suo sogno: un'altra vita. L'altra vita, quella inventata, con i suoi personaggi inventanti, con le storie e gli alunni che le ascoltano.
Stai ad ascoltarti dentro, ripensi a tutte quelle discussioni, alle parole che ti sono rimaste in gola.
Ti conosco, so che stai dicendo "Non me ne frega niente".
Giorgio e la gente che passa e che vestiti buffi e dove corrono. Il treno che passa troppo tardi o troppo presto, tu rimani fermo lì, a scrivere e raccontare.
Fiore, mi volto e ti riconosco come la compagna di una notte. Giorgio. Io sono Giorgio, cerco di convincere me stesso. Ricordi che stelle quella notte di San Lorenzo? Si è avverato Fiore? Camminavi scalza per le vie di Chianalea. Non si è avverato il mio desiderio, non si è avverato. Scappo da me stesso. Non dirmi che è anche il tuo. Io l’ho amata questa città. Vorrei correre giù vero il mare. E’ incomprensibile. Fiore ho creduto di chiamarti, la voce è rimasta in gola. Strozzata.
Come ho potuto credere di volere tornare davvero qui? E’ l’acqua. Torno indietro, pulisco il vaso, accorcio i fiori e li metto dentro l’acqua. Guardo da lontano. Accarezzo la tua foto con la mano. Mi allontano e trovo che è tutto a posto. Esco veloce e penso che è una città malata. Riporto il bidoncino dell'acqua al fiorista. Mi chiede se sono tornata. Per un po’, rispondo. Accenno un sorriso e mi incammino. Autobus? Figurarsi. Neanche l’ombra.
Fiore, oggi è l’ultimo giorno di scuola. Chissà se sei tornata al mare a casa dei tuoi. Ieri sono passato dalla nostra spiaggetta. Il cancello era chiuso. Ricordi la stradina in mezzo all’aranceto, la capanna dei pescatori, le reti? Fiore solo ombra. Non c’è. Fiore non c’è.

Scorribande di motorini dalle finestre. Anime incerte ridono fragorosamente, qualcuno prepara la legna per un falò e un bagno di mezzanotte. Rimango in camera. Non mi va di chiudere le imposte. Una sirena, il pilone e Scilla che immagino fragorosa di vita almeno per un mese.
Ho un’immagine: Berlinguer e Moro che giocano a scacchi. Sì, giocano a scacchi mentre l’Italia viene affondata dal piombo delle pallottole dei brigatisti e dalle stragi di stato. Vorrei smetterla con questo pensiero…Non sento ragioni signor giudice ma non c’è motivo perché lei non voglia revocare il divieto di soggiorno nella mia regione. Da uomo a uomo io non sono pericoloso. Anarchia? Cos’è il mondo assoggettato a delle regole! A cosa servono le regole se non a essere trasgredite. Allora perché assoggettarci al diritto? Perché imporre delle regole ferree? Perché accettare le ingiustizie e i soprusi? In definitiva io le chiedo di potere tornare nella mia città. Lo chiedo all’uomo perché ho appena avuto un nipotino e sa mi farebbe piacere conoscerlo. Mia sorella è ragazza madre ed in qualità di fratello maggiore mi ha chiesto di battezzare il bambino. La ringrazio per avere letto questa mia presente. Il bambino si chiama Giorgio ed è nato l’otto marzo. Ci pensi a Moro e Berlinguer. Secondo lei chi vincerà. Egregio Signor Maurizio Di Franz le è accordato il permesso per andare a battezzare suo nipote Giorgio Di Franz.

Milano ed il suo castello, Fiore andava a studiare in quei pressi di primavera e guardava le spose che li sì facevano le foto. Pensava ai suoi, separati dopo tre anni di matrimonio. Sognava il suo vestito identico a quello del libro di favole che sua nonna le leggeva da piccola. La nonna e le sue raccomandazioni prima di morire: Fiore non voglio vederti andare all’altare con il palloncino. Come dire sposati per amore come non avviene in questa famiglia da generazioni. Ciao nonna, non pensare a nulla hai lavorato tanto. Lo amavi il nonno con i suoi tradimenti subiti e silenti. Lo amavi o amavi l’illusione di sentirti amata. Il tuo racconto della sua dichiarazione con un sacchetto di nespole mi ha tenuto compagnia nelle sere in cui eravamo lontane. Adesso ci sei, ci sei sempre. Quando sento il freddo della notte e la disperazione della mia dimensione precaria e instabile. Ci sei nel vento che scuote la tenda, mentre non riesco a dormire e l’ansia mi assale. Perché sono qui?

Non sento il caldo sulla pelle, le mie cosce sono fresche. Cammino con il sale sulla pelle, i miei piedi sulla riva. Mi piace passeggiare, non cerco nulla. Vorrei sentire il sudore sulla pelle, vorrei sentire. La discoteca della mia adolescenza è ancora lì. Chiusa da anni. Mi mette tristezza. Mi mette tristezza questa spiaggia. In cima ci sono gli alberi di arance. Ciao papà. Lo so sei arrabbiato perché ho accettato di venire qui…però devi capire. Ti chiedo fiducia, accordamela per una volta. Ti prometto dormirò sempre nel tuo letto di quando eri ragazzo.

Daniela, è nato un bellissimo bambino. Brava. Sei stata brava, non piangere. Eccolo qui. Quanti capelli. Sai Maurizio ha chiesto un permesso. I fiori, quanta mimosa. Già oggi è la festa della donna. L’infermiera vuole sapere il nome per il braccialetto. Sei decisa? Giorgio, come suo padre. Te lo devi dimenticare, suo padre. E’ meglio per te e per il bambino. Adesso festeggiamo. Ti vado a prendere i confetti azzurri e le paste. Riposati Daniela, quanto sei bella.

Oggi mi sposo. Sono felice. Sono uscito di prigione due mesi fa. Rapina a mano armata. Ho pagato il mio debito e non mi pento. Rosa non è male come moglie. Avremo dei figli e io voglio vivere qui, nella mia città. Quell’altra città me la voglio dimenticare. Vado a riprendermi i miei soldi. Daniela non era male neanche lei. Non sarebbe stato possibile con quella famiglia troppo borghese. Domani sarò un uomo nuovo, con la mia attività e con i miei vizi. Io lo so che sono già padre ma quel figlio non me l’hanno mai fatto vedere. Meglio così. Il figlio è di chi lo cresce. Non ne ho rimorsi. E’ passato. Il passato è passato, scaduto. Io me lo voglio dimenticare quel passato. Oggi mi sposo.

Iaia tua figlia se ne andata in quella città. Le devi parlare tu. Non ti odia dai. Sei la solita stronza arrogante, non è possibile parlare con te. Io non voglio che si faccia le sue esperienze in quella città. Sei odiosa come al solito. Non le parli. Stronza. Ti insulto quanto mi pare! Vado io a prendere mia famiglia. La riporto a Milano. Iaia io sono il padre. Fiore è mia famiglia. Io mi preoccupo. Sì, sì ciao.

Daniela ma lo sai che hai fatto proprio un bel bambino. Io sono il padrino. Ma hai scelto bene? Sei sicura? Sono il tuo fratellone preferito? Lo battezzo io. Sì, non parlo più di ideologie. Posso istruirlo un po’? Sono lo zio sociologo o no? Deve diventare un filosofo. Ti piacerebbe un figlio filosofo? E tu sorellina? Come te la passi? Vuoi che avvisi Giorgio? Vuoi che gli dica che è nato il bambino? Non vuoi? Io non posso vederlo ma possiamo farlo avvisare dall’avvocato? Niente. Come dici tu. Tornerò in Toscana fra qualche giorno. Affronterò quest’ultimo periodo con serenità e poi tornerò qui, con voi. Lo cresceremo insieme il piccolo Giorgio.

Giorgio passeggiava davanti al muretto del bar dove trascorreva gran parte del suo tempo libero, ne aveva molto, il lavoro statale gli garantiva lo stipendio mensile e tranne la partitella a calcio del sabato pomeriggio, non aveva altro da fare. Bé leggeva si sentiva un po' intellettuale, con la sua passione per la letteratura sudamericana, e poi il giornale, bé quello lo comprava tutti i giorni. Politicamente a sinistra. Bello, con la grinta dell’uomo duro, i muscoli sempre a posto e lo sguardo corrucciato. Un tipo d’effetto. Una vita tranquilla, molte donne, meglio se occasionali, forse qualche amore del passato che ancora lo tormenta, ma il tipo giusto per ogni occasione.
Le sigarette, gli occhiali scuri, la partita di basket ogni fine settimana, l’immancabile discoteca e il minimo di presenzialismo ad ogni serata importante in qualche locale in voga. Non è un uomo superficiale ma rassegnato e soprattutto consapevole di doversi adeguare ai tempi.

Fiore ma dove sei stata stanotte? Hai sedici anni, non puoi tornare a casa alle sette. Io non so più cosa fare con te. Io lo dirò a tuo padre e le vacanze sono finite. Non dire ma mamma, io non posso starti dietro, ho la mia vita. Dove sei stata? Non importa, ho già parlato con tuo padre. Stasera ti imbarchi sul volo per Milano e ci vediamo quando sarò di ritorno. Non discutere. Non devi dormire fuori casa. E’ la prima regola. Se ti succede qualcosa chi lo sente tuo padre. Dai smettila di piangere. Non piangi per me, ci vediamo tra un po’. Gli amici? Li vedrai tra un anno. Non discutere. Se chiami tuo padre ti dirà il resto.

Io la detesto questa città. Nel mordi e fuggi di ogni giorno mi sembra sempre più sbagliata questa scelta. Giorgio. E’ Giorgio. Posso urlare forte il suo nome ma non si volterebbe. Giorgio sento il profumo del mare e la tua vocazione ad insegnare. Giorgio mi manchi tanto in questa città. Non ho mai creduto possibile vivere nella stessa città, a poche centinaia di metri e sentire l’indifferenza. C’è uno che ti cerca aveva detto mia cugina con un tono invidioso. Sì uno che suona al citofono ed ha un sì. Giorgio eri tu ed io ti guardavo dalla finestra. Mi avevi accompagnata una volta sola per via delle formiche. Mi avevi insegnato ad annegarle per eliminarle. Giorgio. Hai suonato il piano per me. Giorgio ma perché non passi a prendermi con il tuo vecchio sì blu e andiamo zigzagando di notte in mezzo agli aranceti. Giorgio dove sei? Giorgio sei con me. Io non ti ho mai lasciato con il pensiero un solo secondo. Non è ancora abbastanza. Volevi insegnarmi a parlare con te. Io non avevo parole. Non riuscivo a parlare con te, non riuscivo ad esprimere i miei sentimenti. Mi spronavi a parlarti, non potevo. Giorgio, il mio migliore amico da sempre.

Fiore mi sobbalza il cuore in gola solo a sentire il tuo nome. Io non so capirlo questo feeling. Hai voluto che si spezzasse, ho accettato. Io sapevo che c’eri e mi rendeva felice il tuo esserci. Chissà, non ho voluto chiederti niente quando mi hai detto che non saresti più tornata in questa città. Avrei dovuto venire con te o avrei dovuto convincerti a tornare. Perché Fiore? Perché sono in ansia e sono così instabile. Avrei voluto sentire da te delle parole sicure, sincere dei tuoi sentimenti.

Era così concreto. Aveva una maglietta verde come i suoi occhi. Sbarbato e con i riccioli neri corti, per niente curati. Il viso con due solchi sulle guance che si mimetizzavano in un sorriso timido. Non l’avrei mai detto: Mi piace il mare d’inverno…Aveva esclamato…Romantico. Era stata una calamita e abbassavamo lo sguardo o ci fissavamo nello stesso istante. Trattenevo il respiro quando mi passava accanto. Non chiedo il tuo perdono Giorgio. Ti ho tolto l’altra metà della tua vita, delle tue origini. Hai anche tu i riccioli neri e li alzi a coda. A volte in te vedo un gesto, un’azione, un modo di dire e sei lui. La stessa mania di segnare tutto su una agenda, un pezzettino di carta, uno scontrino. Non ti ho mai detto nulla, sono stata evasiva. Non ricordo. Non ho voluto ricordare, tuo padre. Ti ho detto a volte che non ha voluto conoscerti. E’ vero. C’è una cosa che devo credere che neanche un giorno nella tua vita è mancato il suo pensiero verso di te. Sarà stato spavaldo nel voltare le spalle al suo passato e ricominciare ad una nuova vita senza di noi. Tuo zio Franz, avrebbe voluto coinvolgerlo ma io non ho voluto! Quando sei nato era in carcere: rapina a mano armata. Era colpevole. E’ stato arrestato ed io non sapevo ancora di essere incinta. Non avevo mai sospettato nulla. La sua famiglia aveva un negozio di elettrodomestici. Tuo padre amava il lusso e la bella vita. Andavamo ogni giorno al mare. C’era un posto lì dove si uniscono tutte le vie marina della costa, ancora chiusa, sulla spiaggia ed era il nostro rifugio. Non h mai parlato con te di lui, né bene né male. Non volevo che tu avessi alcun pensiero, che credessi alcunché… Non ho neanche una foto da mostrarti. Ho la sua maglietta, verde come i suoi occhi. Credimi erano di questo colore ed una cascata di riccioli neri gli addolcivano i lineamenti duri. Ti voglio bene Giorgio. Dimenticavo, si chiama Giorgio come te. Tua nonna, sua mamma ha espresso il desiderio di incontrarti. E’ venuta al funerale di zio Franz. Ti ha riconosciuto. Non ha notizie di suo figlio da un po’. Decidi tu. Sei un uomo e questo l’ha lasciato zio Franz per te. Non giudichiamolo, il suo gesto è coerente con tutta la sua vita. Incoerente in apparenza, in realtà a modo suo è stato un estrema richiesta d’attenzione. Zio Franz ti raccontava la storia della mollichina che era stata impastata perché tu la mangiassi. Prendiamola così, zio Franz è la mollichina che è stata mangiata dall’universo infinito.

Cara mamma, dì a quella signora che non desidero incontrarla. Ti prego di accettare questo biglietto e di non chiedermi nulla. Grazie per il diario di zio Franz. Ti abbraccio. Giorgio, l’unico Giorgio della tua vita.

I capelli raccolti a codino, Giorgio, il tuo modo buffo di legarti i capelli… Ti avrei riconosciuto tra mille codini. Non mi saluta, non mi ha vista. Studio. Leggo e vado a fare un giro in centro. Centro? Chiamiamolo così quel buco lungo e stretto che vuol essere un corso. Corso? Non mi piace questa città. Ha ragione papà. Devo andarmene. Al più presto. Al diavolo il master, al diavolo questo tipo di studio. Al diavolo tutti. Sono stanca di cercare le mie origini. Non mi sento né con mio padre né con mia mamma. Mia mamma, starà uscendo adesso da un centro estetico. Lampade, massaggio o chissà quali altre assurde maschere. Mia mamma? Mamma. Che parola.
Giorgio, non ha neanche il coraggio di salutarmi. Sono stanca di illusioni. Basta vita da telenovela. Vado avanti da sola: Sola, come tutta la mia vita e per tutta la mia vita. Papà hai vinto. Torno a casa.

25 aprile, festa di liberazione.
PERDONATEMI, CHI MI AMA CAPIRA’…
Oggi un uomo parte con la valigia rossa vuota. Prendila tu Giorgio… Non ti ho mai amato come in questo momento. Ricordami sano e non sconfitto dalla malattia. Non smetto di lottare, non mi arrendo…Cari tutti, Franz è vivo nei vostri silenzi sgomenti di dolore. Mamma amami come hai sempre fatto e ancora di più. Papà, sono un uomo e Dio mi perdonerà. Daniela, abbi cura di te e di Giorgio…dice di essere un uomo ma non sa neanche dichiararsi alle donne. Addio. Sarò con voi nell’infinito eterno ritorno di anime candide. Soffio di vento e brezza marina. Sarò io ad assistere voi e non voi ad assistere un corpo che scompare. Addio, anzi arrivederci.
25 aprile, libertà.

Con abituale puntualità vado a scuola. Insegno, senza credere più in quello che racconto ai miei studenti. Ho studiato lettere moderne. Ho trovato una cattedra in questo istituto di suore. Non chiedo molto e mi danno uno stipendio. Vivo a casa con mia mamma. Ho qualche donna, di passaggio nei loro letti. Non è una vita da deficienti, anzi ne potrei andare fiero. Cammino di buon mattino sulla spiaggia di questa città dannata.
Fiore io non credo che accettare questa borsa di studio sia una grande cosa…vai in erasmus, che problema c’è…

Uno
Non c’è mai una sola via per raggiungere la verità, il bisogno di conoscere la realtà delle mie origini mi ha portata lontano, sino a dove avrei dovuto guardare oltre me stessa e scoprire che il mio io è nato e rinato almeno un migliaio di volte da quando ho vagito per la prima volta. Sono giovane di una giovinezza già vecchia. Ho osato vivere la mia vita, sento di non amare nessuno. Neanche me. Ho scelto di tornare nella città dannata, il mare solo lui mi accoglie lento e perentorio. Il mare, la città è tutta lì in quel chilometro secolare di querce e pini marini, di aiuole fiorite e gelati alla mora. La città non è bella, la sua è una luce riflessa dal vento che pervade ogni discesa o salita e non ti puoi sentire solo perché c’è il rumore del vento e il blu verde rosa celeste del mare che muta repentino. La gente è la gente di una città dannata, va avanti e indietro e non si chiede mai perché. Perché si è così poveri e morti dentro. Non se ne accorgono ecco perché. Ti vengo a trovare e scopro un nuovo cambiamento, mi sorridi dalla foto. Suonano le campane, sono le otto del mattino e rivolta a Sant’Antonio dico un’Ave. Ti percepisco e appoggio i fiori, metto l’acqua e vado via. Capisco è una città dannata, per te devo essere qui. La odio questa città. Nascere è appartenere per sempre a quel luogo, nascere è cancellare ogni speranza amniotica di salvezza. Un vagito, il primo e il dolore che non mi annienta. Il primo pensiero qui è alla mia adolescenza. Sono una donna che studia per costruire case e quartieri. Sono alla scoperta della mia terra. Quel ritratto, la donna di spalle vestita d’azzurro, sono io. Mi pizzico per reagire, per capire se ci sono. Le voci, ah le voci. Un ritorno lontano, un brusio fastidioso. Solo parole incomprensibili. Non ho età. Sono quella bambina morta dentro e già donna. Sono ferma lì. Mi avvolgo dentro me stessa. Com’è iniziata questa storia. Mi vedo come un riflesso lontano. Odio lo sforzo della normalità. Non sono come tutti gli altri. E’ un percorso tortuoso. Ho amato? So amare? Sono sola. Sola con me stessa. Ci sono, è un punto di partenza. Confusione, allegria e tristezza. Ci sono e non capisco il perché di tante cose. Dopo dieci anni non sono più sicura di amarti. Dopo trentuno non sono più sicura di niente. Mi sento senza pelle, con i nervi scoperti. Fragilissima. Mi sento, e non ho bisogno di pizzicarmi. Carrellate di immagini pervadono la mia mente.

Fiore anno zero.
I kleenex sulla scrivania, la finestra da cui entra solo caldo e afa, la giornata nervosa fin dall’inizio. Mi siedo e capisco che inizierò a piangere. Apro la borsetta e porgo alla mia interlocutrice due paginette battute al computer. “L’amore, quello vero si riconosce dal modo in cui guardo l’amato amore mio. Non vedo un uomo, è quel ragazzo che ho amato dal primo istante in cui l’ho visto. Sono i suoi capelli arricciati, le spalle larghe e la schiena diritta. E’ stato un amore come quello di una madre verso il figlio, lo vede neonato e mai adulto. Da proteggere e da non condannare mai. Così lo vedevo e non capivo che il tempo lascia le tracce sul fisico e sull’anima. Lo amavo. Conoscevo ogni angolo del suo corpo, nella sua immagine da ragazzo. Anticipavo ogni sua parola. Tutto falso. Nei miei occhi solo amore. Il mio neonato era lì. Seduto accanto a me sulla spiaggia, di notte. Io lo guardavo e non lo riconoscevo. I capelli non erano più dei riccioli che incastonavano i suoi begli occhi castani. Erano occhi spenti e non sorridevano più. Non mi parlava da tanto tempo. Quando mi ha abbracciata e baciata ho sentito il suo cuore battere forte. Tanto forte da coprire il rumore del mare. Il nostro primo bacio, invecchiato come noi. Non mi batteva forte il cuore. Ero felice di una felicità passata. Come questa città. Giorgio, non ha immaginato nulla di tutto ciò. Il giorno dopo era uguale ad avantieri per lui. Io ho vissuto come d’incanto, come una delle principesse delle favole, quel bacio. Al mattino ero vecchia di dieci anni di più. Giorgio non era il ragazzo con la maglietta di Che Guevara era un giovane professore insicuro che avrei giurato di non volere vedere mai più. L’inizio della fine o il principio della mia vita. Fiore, anno zero pensavo e come presa da una nuova frenesia ho iniziato a guardare tutti gli uomini intorno a me. Peccato, non riuscivo più ad emozionarmi davanti a nessuno di loro. Goffa e impacciata come al solito. L’ho cercato, mi ha telefonato. Giorgio volevo sentirti perché sono confusa. Giorgio ed il mio cuore lo sento di nuovo. Ogni …”
Gabriella interrompe la lettura, io mi asciugo le lacrime.

DUE
Solo quelle parole:”La città è tutta lì, quel chilometro di lungomare, che vuol dire tutto, vuol dire niente.” Passeggiava lenta con il vento fra i capelli, con i pensieri di un’altra e lo sguardo di chi non vede il futuro. Il futuro cancellato dalla insensibilità di un mondo insopportabile. Ciao Giorgio, vuoi sapere cosa penso? Che ti odio. Che non credo più in te. Ti ho scritto, hai letto ma non hai risposto. Indivisibilità. Le mie cose, il mio letto, la mia scrivania e i miei colori. Senza non potrei vivere. Il silenzio, ho cercato il silenzio. Piano un ritorno alle parole. Le canzoni. Lo stridio dei gabbiani appollaiati sui massi. Mi sono avvicinata lenta al punto in cui avevamo preso il sole d’estate. Ho ascoltato le voci, ho visto le ombre di due ragazzi. Giorgio, sei vivo. Sei lontano. Mi chiedo se ci sono io, mi chiedo com’è possibile? Volevo solo amore. Volevo solo vivere un amore sereno. Io volevo solo amore. Può davvero arrivare un giorno in cui la vita cambia? Le tue insicurezze, le mie attese. Scrivi:“non hai idea di chi io sia”. Io mi ricordo dei riccioli schiariti dal sole, mi ricordo delle canzoni, dei falò. Il cuore batte forte sulla cancellata vicino alla riva della spiaggia. Era il tuo cuore, non il mio. Non ricordi?

Fiore anno uno.
Lento ritorno alla vita. Cos’è bene? Cos’è male? Ogni volta che non ho lottato fino in fondo per una passione, per un amore, per un ideale. Ogni volta che ho taciuto le mie verità sul tempo che va e lascia solchi di incertezze e dubbi.

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