ANDREAS
Andreàs è seduto sugli scalini della casetta dei pescatori, i piedi nudi sulla sabbia, aspetta che lo zio torni dalla pesca. Vuole fargli una sorpresa, è appena arrivato da Milano ed è corso lì, nel suo angolo preferito, nascosto tra gli aranceti. Il suo rione lo soffoca, preferisce stare in riva al mare a guardare lo stretto, ha la stessa frenesia delle domeniche mattina quando suo padre lo svegliava presto per andare a tirare le reti. Per lui, bambino cresciuto in quel posto malfamato, povero e ricco solo di criminalità e morti ammazzati, l’unico svago, oltre il basket e la scuola, era il mare. La casetta dei pescatori era ancora una baracca di legno quel giorno di marzo del 1990, quando suo fratello era corso a dargli la notizia della morte del suo compagno di banco. Ucciso per errore, errore di essere accanto al padre durante un regolamento di conti. Lo odiava quel quartiere, lo odiava per il fatto di essere il primo di tre fratelli e di essere stato il più scortato a casa e il più seguito, ha aperto la strada a suo fratello e alla sorellina, la coccola di casa, cresciuti più liberi. La mamma, maestra, l’aveva iscritto alla scuola dove insegnava, lontano da quell’ambiente, per evitare che incontrasse i figli dei boss. La mamma lo portava in chiesa e suo papà lo accompagnava agli allenamenti e alle partite di basket. Un po’ di autonomia era arrivata con le scuole medie, ma la svolta “vera” erano state le superiori con quel professore “troppo grande”, che insegnava lettere. Con lui aveva imparato a memoria i testi delle canzoni di Guccini, aveva iniziato a guardare Samarcanda, ad indossare le magliette del Che. Di sabato usciva con i suoi amici del Basket. Sempre più spesso nel quartiere si udivano i colpi di pistola, il silenzio immediato prima delle sirene. L’immensità del mare era l’unica sua passione. Quell’anno, il 1990, aveva segnato la fine della sua pace familiare. Raccoglieva le reti su questa spiaggetta, mancavano pochi giorni al suo 17° compleanno il 2 luglio, suo padre era tornato dal turno, è macchinista in Ferrovia, e dopo un furioso litigio con la madre, era andato a cercarlo perché intercedesse con la donna, già in fase di valigie. A nulla erano valse le preghiere di Andreàs, che da sempre aveva occupato un ruolo speciale nel cuore della mamma, ormai aveva deciso. Voleva vivere serena quel nuovo rapporto, sebbene avesse fatto la “fidanzatina” con il marito fino a pochi mesi prima, non voleva più imbrogliare nessuno. Da quel giorno non l’aveva più rivista, rimanevano i telegrammi che a partire da quel 2 luglio arrivano puntuali ogni anno. Andreàs li chiude nel cassetto della scrivania. Abitava nello stesso palazzo dei nonni, loro aiutavano tutta la famiglia, ma la vita di tutti era cambiata. Si era sentito più libero e incontrollato, trascorreva meno tempo con gli amici del basket. Frequentava il figlio di un avvocato, pagava sempre per lui. Gli dava anche il fumo gratis. Non pensava di dovere ricambiare e la richiesta di portare un pacchetto di “sementi” in quel negozio dall’altra parte della città con il suo Sì blu lo sorprese un po’. Aveva fatto con facilità la consegna, era entrato nel giro, indifferente al resto della vita. L’anno dopo con la maturità, era arrivata l’iscrizione all’Università, Facoltà di Economia e Commercio, abbandonata dopo le prime lezioni. Andreàs adesso si alza dagli scalini, ha sete, entra nella casetta, ritrova le vecchie foto appese alle pareti con i ricordi dei nonni. Si siede sul divano del suo primo amore. Letizia, la studentessa di Belle arti. Con lei aveva sperimentato tutto. Aveva abbandonato gli amici, la sezione del PCI, il Basket. Stavano pomeriggi interi chiusi in quella stanzetta. Letizia andava giù forte con il vino e con la droga. Andreàs non si era mai bucato. Leti sì. Diceva di no, diceva che sì, forse una volta. Andreàs aveva visto i segni appena sopra il pube, sotto le unghie di mani e piedi. Non avrebbe più voluto vederla. Per rabbia o incoscienza si era impasticcato sulla barca, al largo. Si era addormentato ed al risveglio aveva avuto paura… Ed allora aveva detto addio, a quella città, a Leti, alla sua famiglia, Si era trasferito dalla zia a Bergamo, lavorava alle poste di tre mesi in tre mesi. Non era soddisfatto. Ci era rimasto fino a ventitré anni. Tornato in quel quartiere aveva ricominciato, come prima nel suo vecchio giro, andava su e giù per l’Italia in macchina, trasportando pacchi sempre più pesanti. Risiedeva a Milano. Suo padre non capiva come e da dove arrivavano i soldi, non riusciva più a gestire la famiglia. Andreàs si gira ancora nella stanza, sente arrivare le voci di uomini stanchi di mare. Esce ripensa a quell’incontro di pochi giorni fa in metropolitana con l’amica di Paola. Paola l’unica che l’aveva lasciato. Si erano conosciuti qualche anno fa, avevano trascorso una bella estate. Paola era in vacanza, era di Trieste e studiava a Gorizia. Dopo la laurea era andata a vivere in Francia. L’aveva ammaliato con le sue abilità erotiche, con la carica di vitalità e poi più nulla. Scomparsa. Andreàs poche volte si era posto delle domande nella sua vita. Aveva in mente solo rassegnazione: per la mamma, per il giro (di cui poco sapeva e poco voleva sapere, gli interessavano solo i soldi che in gran parte dava al padre), per l’amore. Leggeva tanto e di tutto. Aveva avuto delle idee politiche, adesso era rassegnato anche verso la politica. Andreàs incrocia il suo sguardo con quello dello zio. Le sue mani da signorino stringono le sue, dure, callose, che conoscono la fatica, insieme tirano le reti. Il suo pensiero è dentro il mare, e su quella carrozza della metropolitana, chissà dal caso dell’incontro potrà ritrovare Paola, l’amica saprà dargli qualche indicazione. Quando tornerà a Milano proverà a chiamarla.
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