STASERA HO CERCATO LA LUNA NEL CIELO

Tramontata è la luna,

con le Pleiadi, a mezzo
è la notte e il tempo passa
e io giaccio sola.
Fr.94 Saffo


Chissà cosa sogni. Ho voglia di baciarti. Che fai? Dormi? Non devi andare via. Ti ho scelto. Non importa quello che pensi. Ho deciso io. Voglio stringerti, ho paura di perderti, ho bisogno di sapere che ci sei. Ti prego rimani. Parla. Ho voglia di sentire la tua voce perché fa vibrare i nostri corpi. Non posso permettere che tu vada via, anche se non vuoi, anche se non mi vuoi, se non vuoi che io ti segua. Devo convincerti, devi rimanere. Se io non posso stare con te, tu vivrai felice senza di me, lo so, io vivrò, infelice, rubando attimi alla tua vita, di nascosto, immaginando i tuoi respiri. Perderò, perderò me ma adesso voglio ascoltarti. Ricordi quella città fredda e lontana? Ricordi il nostro primo sguardo? “Cos’è? Ti ho svegliato?” ”Che ore sono?” “E’ presto, se vuoi dormi ancora un po’.” “E tu?” “Sono ben sveglia ormai. Vado a preparare il caffè.” Ho voglia di baciarti. Ricordo, c’era la luna. Piccole corolle di gesti e sinfonie, nel respiro unisono dell’amore. Ho cancellato ogni sussulto. Ho cercato la luna. C’era o non c’era alta nel cielo? C’era, era un quarto di luna crescente. La pioggia cade lenta e fitta, le luci dei lampioni si illuminano come di incanto sul pavimento bagnato. Mille scintille si diffondono sul marmo, ricordano le scintilline di fine anno, più scivola la pioggia più schizzano le gocce come impazzite. La luce per terra fa brillare i marciapiedi, tutto intorno si diffonde una luce fioca d’altri tempi. Cerco te, non ho più me. Persa, persa dentro la banalità di una sera, facile preda e conquista. Stanca di capire, stanca di ascoltare, stanca di arrivare. Ti cerco in mezzo alla gente fuori dal cinema. Ti cerco. Ti trovo. Senza accorgermi ho smarrito me stessa. “Scusa, ho fatto un po’ tardi.” “Non ti preoccupare, ho già preso i biglietti. Ceniamo da te dopo?” “Sì, ho comprato qualcosa in bottega, adesso ti fidi della mia cucina?” “Della tua cucina? No di certo! Sono sicuro che il dopo cena sarà ottimo…” “Scemo, entriamo che inizia il film.” Piccole corolle di gesti e sinfonie, nel respiro unisono dell’amore. Ho cancellato ogni sussulto. Ho cercato la luna. C’era o non c’era alta nel cielo? La luna c’era nel cielo. Era piena. Prima di uscire ho preso il mazzo di tarocchi, quelli zen, ho girato la prima carta. E’ apparsa quella delle vite passate. Mille volti trattenuti da un cancello. I loro occhi mi fissano. Mille corpi protesi e urlanti contro l’inferriata chiedono vogliosi di me. Pigiati l’uno sull’altro presentano il conto della mia vita. E’ tardi. Non c’è tempo per le spiegazioni. Non ti posso aspettare. Ho voglia di stare per conto mio. E’ l’ultimo dell’anno, la festa sarà una bella festa di fine anno. Senza te. Si parte alle sei di pomeriggio. La pianura si dispiega veloce su un tramonto variopinto. Paesi piccoli e lucine intermittenti. Ci siamo. Mi hanno insegnato ad essere paziente, ma non è una mia dote. Sento l’ansia che sale, mi assale, sono impaziente. Se ti avessi portato? Non è una festa per te. Non ti piace ballare, non senti la musica. Ho imparato a stare da sola. Ho imparato a vivere anche senza te. La solitudine dell’anima non mi fa paura. E’ finito, quest’anno maledetto è finito. Porterà con sé la sterilità di emozioni e di sorrisi. Spazzerà via le tristezze. Se ne va, senza di me. Io resto qui, io sono viva. Ho voglia di correre, di ridere, di piangere. “Auguri amore, non sentivi il telefonino?” “Auguri, no. Non sento niente non c’è campo, provo ad uscire…Pronto…” Non c’era campo. C’era silenzio. Piccole corolle di gesti e sinfonie, nel respiro unisono dell’amore. Ho cancellato ogni sussulto. Ho cercato la luna. C’era o non c’era alta nel cielo? C’era, il quarto di luna era decisamente calante. Su una terrazza al tramonto, mentre il cameriere ci serviva un thè verde, ci guardavamo senza sorriderci, ed allora mi hai chiesto di darti un’emozione. Non ti ho risposto, se l’avessi trovata l’avrei tenuta per me. Da egoista. Ho cancellato quella frase: “voglio crederci”. Io non ci credo più. Le emozioni non so più provarle. Anche se non ci saremo più su quella terrazza al tramonto, anche se non ci saranno più terrazze e tramonti, avrei voluto dirti che stavo tentando di emozionarti. Ora voglio essere cattiva e distante. Io ci ho creduto. Sei stato un ottimo compagno di viaggio, qui non c’è spazio per i sentimenti e per le emozioni. Ci sono loro. Siamo noi che non abbiamo più voglia di ascoltarci. Non serve l’analisi. Non serve essere forti e scalare le montagne. Ascoltati. Non dire che ti piacerebbe, perché non lo vuoi. Ora scrivo, non ci sei, non ci sarai più. Troppo uguali, troppo diversi. Emozionati come sai, se lo sai, se ne sei capace. Ci sarà stato un motivo se io avevo gli occhiali scuri e non me li toglievo. Era già sera ed in questo mondo di parole e di carta altre parole emozionano frasi come piccole corolle di gesti e sinfonie. Piccole corolle di gesti e sinfonie, nel respiro unisono dell’amore. Ho cancellato ogni spessore, ho cancellato ogni sussulto. Ho guardato la luna. C’era o non c’era, austera e sincera nel cielo? Non c’era perché era una notte di luna nuova, la notte di un addio senza emozioni.

Plenilunio

Le stelle intorno alla bella luna subito
nascondono il volto luminoso
essendosi riempita massimamente
risplende su tutta la terra



Saffo

Piove. Non penso niente. Non vorrei neanche uscire. Sabato sera. Uguale. Diverso. Un sabato sera. L’ultima sera dell’anno. Potrei stare qui o ovunque. In qualsiasi altro posto. Vorrei vedere, conoscere, lavorare e provare emozioni per ciò che vedo, per le persone che conosco e per ciò che produco con il mio lavoro. Mi alzo e vado verso lo specchio, lì c’è un uomo che mi guarda. Non lo conosco, non so chi sia. Dall’apparenza, dal suo aspetto e’ un giovane uomo. Potrebbe avere trentadue anni. Qualcuno in meno. Non sono io. Non sono giovane. La mia giovinezza è già vecchiaia. Nascere è appartenere ad un luogo, nascere è essere quel luogo per sempre. La mia città è quella della mia residenza. Nascere nella mia città. Nascere è cancellare ogni speranza amniotica di salvezza, mi sussurro. Nascere è appartenenza. Io sono libero. Libero dentro il mio liquido amniotico che avvolge la mia giovane vecchiaia. La segreteria. C’è una voce, mi chiede che intenzioni ho per stasera. “ Dove sei? Sei lì? Rispondimi. Ti sto aspettando.” Mi alzo e inizio a prepararmi. Esco perché devo andare, vado lungo la strada, senza una meta. Vago così come mi hanno insegnato in teatro cercando di dimostrare che so quale è la mia meta, fingo a me stesso una conoscenza che non mi appartiene. Ascolto la tua voce sulla segreteria di nuovo. Vorrei ignorarla. E’ l’ultimo giorno dell’anno. Mi stai aspettando. Passo a prenderti senza gioia, senza interesse. Sei tu …Mi chiedo chi sei. Alzo a coda i miei riccioli e mi infilo i pantaloni più comodi che ho. Guardo il cielo, un cielo con la luna decrescente. Accanto a lei si innalzano nel cielo i primi giochi di fuoco. Luna decrescente. “Corda, come rami di rampicante, come navi alla deriva, come sassi bianchi evanescenti. Orizzonti lontani, in una notte di luna calante.”


Non c’è mai una sola via per raggiungere la verità, il bisogno di conoscere la realtà dalle mie origini mi ha portato lontano, al mare, lontano di più sino a dove avrei potuto guardare me stesso e scoprire che il mio io è nato e rinato almeno un migliaio di volte dal primo vagito. Sarei dovuto andare oltre lo specchio, senza paure. Ti ho incontrata in discoteca, abbronzata e distante. Sei andata via all’una, senza salutarmi. Sei uscita dalla grande porta a specchio, mi hai lasciato con il tuo sguardo deluso. Un’altra sera sprecata, al di là di ogni comprensione. Hai camminato verso il mare. Ti sei sentita alternativa e giusta. Cosa vuol dire giusta? Cos’è quel tuo innato senso di giustizia, cos’è adesso questa maledetta voglia di partire, di lasciare il mare, di lasciarmi? Ho cercato la luna. Ti ho accompagnata per tutta la marina. Non ho potuto oltre. Nel buio di una notte senza luna. Vorrei essere “Corda, come rami di rampicante, come navi alla deriva, come sassi bianchi evanescenti, solo orizzonti lontani in una notte di luna nera.”

Cammino dentro l’acqua, i piedi si bagnano come i calzoni, arrotolati, tirati su. I sandali li ho abbandonati, più in su. Persi dietro la barca, quella grande, la più forte. Ha un nome. Il tuo nome. La mia risata possente. Il mio schermirti per il tuo camminare scalza tra le case dei pescatori, per non disturbare, per non svegliarli. Nella mia stanza stavamo distesi sul letto. Il mio cappello sui tuoi occhi. La mia risata fino in fondo al cortile. L’ultima battuta della serata. Ti accompagno a casa tua. Ti bacio. Ti tengo stretta. Il mio braccio sui tuoi fianchi. Siamo avvitati. Ti allontani. Infastidita. Avresti voglia di una sigaretta. Silenzio. Sento un nodo in gola. Mi riprendo con spavalderia. “Vorrà dire che mi iscriverò in palestra…” Ti lascio le mani. Richiudo lo sportello dal lato in cui sei scesa. Salgo in macchina. Accendo la radio. Torno nella mia stanza. L’atmosfera di malinconia mi prende, invade le membra. Le ombre delle lampade si muovono dietro le tende, mosse dal vento. Vento azzurro come il mare. La mia anima è fragile, confusa. La risata è spenta, spinta oltre il cortile. Non ti amo. E’ solo la rabbia. Non ti chiamo. Rido. Ti chiamo. Non rispondi. Rivedo il tuo sguardo, sempre più distaccato, perso nel vuoto. Potrei correre da te. Correre nella notte. Sono al portone. La luna è alta nel cielo. E’ luna crescente. Mi immobilizzo. “Corda, come rami di rampicante, come navi alla deriva, come sassi bianchi evanescenti, orizzonti lontani, in una notte di luna crescente.


Viola Bonifacio

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